I patrioti della Stay Behind. La nostra storia. Silendo Libertatem Servo.

Geremia, un eroe italiano.

I patrioti della Stay Behind non cercano visibilità per sé quindi chiedono di essere citati per nome, esattamente come facevano durante la loro attività svolta al servizio della Repubblica, pronti a difenderla anche con le armi!

GEREMIA, classe 1939

Ho sempre amato La Patria.
Sono orgoglioso di avere militato nella struttura S.B. (Gladio) perché mi è stata offerta l’opportunità di servire la Patria, anche se ero stato scartato alla visita di leva per la mia invalidità.
Mi sono sentito tradito indegnamente dalle autorità politiche e militari che si sono rivelate paurose, vili e senza dignità. Per fortuna che noi volontari non ci siamo trovati nella situazione di scendere in campo, altrimenti ci avrebbero venduti tutti prima di cominciare.


Sono nato a San Lorenzo Nuovo (VT), paese di 2000 anime, vicino al lago di Bolsena.
Il 25.5.1944 fu bombardato dagli anglo-americani mentre io ed un mio coetaneo giocavamo a cento metri da dove sono cadute due bombe che hanno centrato una locanda mentre avveniva la distribuzione dei generi alimentari con la tessera.
Morirono più di venti persone, tra cui sette soldati tedeschi, alcuni dei quali li conoscevo perché spesso giocavano con me bambino; la porta della mia casa era a fianco di quella del Comando tedesco. Fu una esperienza scioccante.


Dopo alcuni giorni avvenne un secondo bombardamento; di conseguenza tutta la popolazione abbandonò il paese e si trasferì in campagna per circa tre mesi.
Trascorsi tutta l’estate del “44” in una grotta.
Nel dopoguerra venivano rinvenuti ordigni esplosivi, giocattoli, orologi penne e matite che causarono mutilazione e morte per adulti e bambini.
Gli insegnanti, a scuola, raccomandavano di non raccogliere nulla in terra.


Il 2.9.1948, mentre giocavo, trovai una matita come quelle delle agendine, mentre toglievo con forza il cappuccio arrugginito esplose e persi la mano destra.
Quando ero all’ospedale di Acquapendente (VT) furono ricoverati tre bambini: due maschietti ed una femminuccia: avevano trovato un orologio che esplose mentre se lo contendevano. Risultato la bambina cieca ed i bambini mutilati. Queste esperienze, anziché avvilirmi hanno suscitato un senso di ribellione al destino. In un mese imparai a scrivere a sinistra ed a tirare con la fionda. A sedici anni con il permesso di mio padre, presi “la licenza di caccia”.
La caccia è stata la grande passione della mia vita e l’ho sempre praticata intensamente in pianura, in collina ed in alta montagna.


Adesso, dopo 57 anni, vado a quaglie beccacce cinghiale e capriolo. Con la guida di un Libro, imparai poi ad imbalsamare gli animali e anche ora, saltuariamente lo pratico con successo e con una mano sola.
Ho imparato a nuotare da solo nel vicino lago di Bolsena ed all’epoca ero il nuotatore più valido della zona e percorrevo più Km in una mattinata.
Successivamente ho frequentato a Bolzano un corso di “assistente bagnanti” ed ho ricevuto il brevetto nel 1972.


Ho conseguito la maturità classica ad Orvieto (TR) nel 1958-Impiegato presso la Direzione Generale dell’Aviazione civile, nel febbraio del 1968 fui trasferito all’aeroporto di Bolzano con l’incarico di organizzare l’Ufficio Controllo Traffico Aereo Civile dipendente dalla Direzione Circoscrizione Aeroportuale di Treviso.


Familiarizzai subito con gli ambienti sportivi aeroportuali: in particolare con i paracadutisti ed i volovelisti. Il 2 luglio 1968, insieme a due esperti rocciatori di Ortisei (Renzo Bernard e Mario Corradi) salii per la via normale sulla vetta della Grande delle Tre Cime di Lavaredo. Impiegammo appena sei ore e mezzo tra salita e discesa. I miei amici rimasero stupiti di come me la cavai alla prima esperienza e senza la mano destra. Praticai questo sport per qualche tempo, poi incominciai a sciare .


Nella primavera del 1970 insieme a tre amici paracadutisti di Corvara in Badia (BZ) mi recai in Svizzera presso l’aeroporto di Locarno (Magadino) per brevettarmi paracadutista, perché in Italia non ero idoneo alla visita medica per la mancanza della mano destra.
Senza difficoltà burocratiche e pratiche conseguii il brevetto con diciassette lanci: quindici di scuola e due di esame. Con il brevetto saltai in Italia per tre anni. Nell’ambiente paracadutistico fui contattato dal Presidente Landi per arruolarmi nella struttura.
La partenza avvenne il 21.3.1977 in treno alle ore 22,30 da Bolzano, destinazione Roma Termini insieme a due colleghi Ireneo e Luciano.


Al Diurno della Stazione incontrammo un signore con in mostra il quotidiano “II Messaggero” mentre io mostravo il quotidiano “Alto Adige”; il signore si chiamava Angelo, mi venne incontro e chiese del Sig. Geremia (il sottoscritto).
Fummo invitati a seguirlo all’esterno della Stazione e ad accomodarci all’interno di un furgone senza vetri laterali e completamente buio. All’interno c’erano altre tre persone.


Dopo meno di un’ora ci trovammo in una pineta vicino al mare e scesi dal furgone entrammo in un locale e ci accomodammo su al cune poltrone. Arrivo subito un signore (Pasquale) e ci illustrò il fine del nostro arruolamento; ci spiegò che la struttura sarebbe servita a creare nuclei di resistenza contro un’invasione del territorio nazionale da parte di qualsiasi nemico.
Ci avrebbero atteso duri corsi di base di due settimane e successivamente qualche altro corso di specializzazione.


Avremmo dovuto conoscerci e chiamarci solo per nome senza svelare la nostra provenienza; questo per la sicurezza nostra e della struttura, perché se fossimo caduti prigionieri del nemico invasore, per noi non ci sarebbe stata pietà.
Saremmo stati sicuramente torturati per farci svelare i nomi dei nostri colleghi e dell’organizzazione; noi però non avremmo potuto denunciare nessuno, dal momento che non li conoscevamo. Uno dei presente chiese il nome della struttura, ma la risposta fu che non dovevamo conoscerlo perché avremmo potuto pronunciarlo anche involontariamente.


Ci fu assicurato che tutti i nostri dati sarebbero andati distrutti: le generalità, le impronte digitali e le cartelle di lavoro e di valutazione e cosi di noi non sarebbe rimasta traccia alcuna. Il tutto sarebbe stato microfilmato in due copie una delle quali sarebbe stata custodita all’interno di una cassaforte dei servizi che se forzata, il contenuto sarebbe andato distrutto automaticamente; una seconda sarebbe stata custodita dalla NATO. Alla fine ci fu chiesto se fossimo disposti ad accettare, altrimenti avremmo ancora potuto rinunciare. Accettammo tutti.


Poi ci fu offerto il pranzo e subito dopo fummo condotti con lo stesso furgone in aeroporto ed imbarcati sull’aereo con gli oblò oscurati e dopo un’ora e mezzo, scendemmo dall’aereo nei pressi di un oliveto dove ci attendeva un altro furgone uguale al primo che ci condusse all’interno della base, in riva al mare. La sera stessa, dopo la cena, frequentammo due ore di aula. La mattina, dopo l’alzabandiera, iniziammo il corso tra aula ed esercitazioni pratiche, per due settimane.


Dopo l’addestramento di base, mi prenotai per la specializzazione in guerriglia e sabotaggio, presi due volte le ferie e creato storie di copertura, ma la partenza venne annullata all’ultimo momento.
Perciò fiutai che stava covando qualcosa di poco chiaro e non ho più voluto saperne.
Successivamente ho partecipato a corsi di ripasso che i nostri istruttori avevano organizzato a Bolzano.
Dopo venti anni da quando entrai nella struttura arrivò il tradimento prima dei politici, poi dei militari che non hanno mantenuto la parola data; perché anziché distruggere, come promesso, i nostri dati, li hanno custoditi in sedici armadi e successivamente consegnati alla magistratura. Questo è il punto più doloroso. Ricordo che al Centro Addestramento c’era un biliardo con una targhetta metallica ove era scritto “Dono dell’On. Andreotti”. Ma una volta, interrogato alla televisione dichiarò di non essere stato mai a conoscenza di nulla.


Una volta, nel periodo di addestramento, rammento che uno degli accompagnatori accennò all’esistenza di un’altra struttura organizzata come la nostra che, tramite il Partito Comunista, faceva capo al Patto di Varsavia.
Il fine sarebbe stato di fare da testa di ponte all’Armata Rossa in caso di invasione.
I componenti disponevano direttamente delle armi ed avevano sostenuto corsi di addestramento in Cecoslovacchia e nella Germania orientale.
Perché i nostri superiori, se erano a conoscenza di tanti dettagli, non li hanno divulgati? In seguito fu denominata Gladio Rossa.


Durante l’ultimo interrogatorio a Roma accennai a questa vicenda ma non fu verbalizzata.
Ho partecipato a due raduni, Redipuglia e Roma; avrei voluto sfogarmi senza peli sulla lingua contro chi ci ha tradito, ma l’intervento mi fu sconsigliato nella maniera più assoluta da un alto esponente dell’Associazione, per motivi diplomatici e per non irritare i politici ed i militari presenti.
Per questi motivi mi sono tirato in disparte e non ho più voluto saperne: lo stesso alcuni commilitoni che conosco. La struttura avrebbe potuto essere sciolta senza clamore, dopo il crollo del Patto di Varsavia, come avvenne nelle altre Nazioni, ma siamo governati da gente troppo infida.
La pubblicazione del nome non mi ha procurato disagi, chi mi conosceva come persona mi stima più di prima.


Mia moglie, che all’epoca lavorava in un ambiente militare a Bolzano, mi è stata molto vicina.
Al contrario i miei figli furono oggetto a scuola di un atteggiamento negativo da parte di alcuni insegnanti che mettevano in bella mostra i giornali con il mio nome; il maggiore ne ha risentito particolarmente.
Successivamente, oltre ad una perquisizione in casa, molto corretta, da parte dei Carabinieri, fui convocato due volte presso la Procura della Repubblica di Bolzano ed in seguito presso il Ministero degli Interni a Roma.

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