Articolo di Maurizio Gatti (continua dall’articolo precedente, se non l’hai letto clicca qui)
Già all’inizio dell’ottocento era chiara la presenza di associazioni criminali in Sicilia tanto che, nel 1810 il Procuratore della Sicilia occidentale Pietro Callà Ulloa ha riferito al Ministro a Napoli: “Vi ha in molti paesi delle fratellanze, specie di sette che diconsi partiti, senza riunioni, senza legame che quello da dipendere da un capo …. Una cassa comune sovviene ai bisogni ora per fare esonerare un funzionario, ora per conquistarlo, ora per proteggerlo, ora per incolpare un innocente”. Nelle sue relazioni il magistrato ha mostrato di intravedere già qualcosa di simile alla mafia.
È di quel periodo, 1820, che a Napoli è stata costituita la “Bella Società Riformata” un gruppo di potere criminale che riuniva le cosche di Napoli in un’unica organizzazione criminale con un unico rito e con unici codici di comportamento. La conferma giudiziaria di questa presenza risale al febbraio 1822 quando una popolana si è rivolta al commissario di pubblica sicurezza del rione Vicaria rivelando che il suo fidanzato (Giovanni Esposito detto core ‘e cane) aveva ucciso il capintrinto della Sanità e stava per essere giudicato dalla Gran Mamma in un basso del largo Cavalcatoio. La polizia ha effettuato un’irruzione, salvando il ragazzo e identificando i componenti della Gran Mamma. Vennero sequestrati numerosi biglietti e un enorme tabellone con la scritta: “Sala della Giustizia. La legge è eguale per tutti perché le Mamme giudicano non con la penna, come nei tribunali del Re, ma col cuore e con la mente”. Venne anche sequestrato il verbale dell’udienza che si concludeva con la condanna a morte di Core ‘e cane.
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