Mafia, Camorra, ‘Ndrangheta, Cosa nostra, Onorata Società… una storia

Con questa NewsLetter iniziamo un lungo percorso mirato ad onorare doverosamente la memoria di quanti ci hanno preceduto nell’opera di edificazione delle istituzioni. Non soltanto per ricordare quanti sono morti, alcuni eroicamente, per difendere la legalità, l’efficacia delle leggi, i principi fondamentali sui quali si basa il nostro Paese.


Dobbiamo ricordarci sempre che se non esiste la memoria di quelli che hanno lavorato prima di noi non esistono e non possono esistere il senso di appartenenza, la dignità e tanto meno l’orgoglio. Essi sono il nostro tesoro più prezioso: hanno manifestato amore per il proprio lavoro, per il proprio Paese e per la collettività.


Uno di questi è il nostro Maurizio Gatti, silenzioso ed efficace uomo dello stato che con la sua opere umile e laboriosa ha contribuito a colpire e disarticolare le più feroci associazioni criminali. Attingendo dal Suo prezioso lavoro trentennale a favore della collettività, iniziamo a raccontare la genesi delle più pericolose organizzazioni criminali.

Se le mafie sono state in grado di prosperare nel nostro Paese per oltre un secolo e mezzo è anche a causa dell’atteggiamento dello Stato, non sempre coerente nei confronti della criminalità organizzata.

Ricordiamo ancora tutti i prefettI di Milano Giacomo Rossano (nel 1992) e Gian Valerio Lombardi (nel 2010) che erano quelli a cui la mafia a Milano non risultava, annunciandolo urbi et orbi.

Nel tempo si sono susseguiti momenti di forte e decisa repressione – spesso innescata da fatti di cronaca eclatanti – alternati a fasi di sottovalutazione, disinteresse o perfino di connivenza di alcuni suoi rappresentanti.

Contestualmente il nostro Paese ha conosciuto l’opera di rappresentanti dello Stato – politici, magistrati, esponenti delle forze dell’ordine – in grado di oscurare lo stereotipo “Italia paese di mafia” e di sostituirlo con quello di “Paese dell’Antimafia”. L’impegno giornaliero e costante contro il potere e la controcultura mafiosa è stato spesso pagato con la vita: uomini e donne in grado di lasciare un segno indelebile nella coscienza e memoria collettiva, la cui eredità non si pesa solo con l’esempio e i comportamenti, ma si concretizza negli strumenti di conoscenza, operativi e normativi che ci hanno lasciato in eredita. 

Servitori dello Stato non vuole dire essere eroi, né martiri. Sono etichette che li rendono irraggiungibili, l’alibi che ci diamo per giustificare talvolta la nostra mancanza di impegno.

Soltanto lo spirito di servizio”. Così Giovanni Falcone rispondeva ai giornalisti che gli chiedevano: “Chi glielo fa fare?”. Perché accettare di vivere sotto tiro, nella paura per la propria incolumità, per quella di familiari e collaboratori, combattendo le diffidenze di chi pensa che lo si stia facendo per popolarità o vanità? Le motivazioni di Giovanni Falcone erano le stesse di decine di Servitori dello Stato che il nostro Paese ha conosciuto e sono le medesime di chi segue quelle orme oggi, in tutta Italia.

* “Cosa nostra è un’azienda privata del crimine, nelle cui mani si accentra un reddito di milioni di dollari che provengono dalle sofferenze umane e dalla corruzione morale” (Frase pronunciata dal Procuratore Generale Robert Francis Kennedy nel 1963.)

* “La mafia è la solidarietà istintiva, brutale, interessata, che unisce a danno dello Stato, delle leggi e degli organismi regolari, tutti quegli individui e quegli strati sociali che amano trarre l’esistenza e gli agi, non già dal lavoro, ma dalla violenza, dall’inganno e dall’intimidazione” (Luigi Malafarina, “LA ‘NDRANGHETA, il codice segreto, la storia, i miti, i riti e i personaggi”, Gangemi editore 1986, pag. 26;)

* Parafrasando il giornalista Walter Tobagi, il quale pochi mesi prima di essere assassinato dalla Brigate Rosse scrisse un’articolo intitolato “NON SONO SAMURAI INVINCIBILI”, possiamo pacificamente affermare che la mafia non è invincibile ma può essere sconfitta come disse Giovanni Falcone in un’intervista del 1991 a Rai Tre.

* Art. 416 bis c.p. – Associazione di tipo mafioso.

Chiunque fa parte di un’associazione di tipo mafioso formata da tre o più persone, è punito con la reclusione da tre a sei anni.

Coloro che promuovono, dirigono o organizzano l’associazione sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da quattro a nove anni.

L’associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri.

Questi quattro punti di riflessioni sono necessari per iniziare questo lungo percorso, con Maurizio che ci guiderà come fece Virgilio con Dante, nel capire di cosa parliamo, della genesi del fenomeno e delle realtà fattuali.


Le 4 Mafie

In Italia consideriamo almeno quattro Mafie: Cosa Nostra, Camorra, ‘Ndrangheta, Mafia pugliese, ma nel tempo ne abbiamo indicate molte altre: Sacra Corona Unita pugliese, i Basilischi lucani, la Stidda agrigentina, mafia capitale, la mafia del Brenta, in seguito si è iniziato ad indicare con il termine mafia molte formule di criminalità straniera: la mafia albanese, le pandille latino-americane, la mafia nigeriana, la mafia cinese (spesso erroneamente confusa con le Triadi), mafia russa. Con questa premessa ho deciso di raccontare solo la storia di cosa nostra siciliana e americana facendo alcuni parallelismi con la camorra che ha una storia lunga almeno quanto quella di cosa nostra.

Un passaggio importante della storia di cosa nostra è la fase della negazione e/o sottovalutazione dell’esistenza della mafia. A partire dal medico palermitano Giuseppe Pitrè noto per i suoi studi sul folclore e le tradizioni siciliane il quale nel 1899 pubblicò in quattro volumi: “Usi e costumi, credenze e pregiudizi del popolo siciliano”. Pitrè ha fornito alla criminalità mafiosa una descrizione come fenomeno di folclore andando a difendere la sicilianità diventando il precursore dei negazionisti circa l’esistenza della criminalità mafiosa prima, poi dell’esistenza di una struttura associativa riducendo il tutto a singoli eventi criminali e/o a fenomeni di costume fornendo così una copertura culturale e sociale a tutti coloro i quali, in maniera molto più interessata, hanno negato l’esistenza della mafia per molti decenni fino a giungere alle polemiche su Sciascia, un intellettuale certamente antimafia con il suo articolo “professionisti dell’antimafia” o alle assoluzione della prima sezione della Corte di Cassazione, presieduta dal giudice Corrado Carnevale. 

Il principio della mafia culturale/folcloristica ha anche una costante nel tempo e riguarda la narrazione che questa mafia è una degenerazione di quella di una volta che invece aveva dei principi (non si toccano donne e bambini, non si sfruttano le prostitute, non si traffica in stupefacenti, ecc.) come descriveva nelle sue dichiarazioni degli anni venti del novecento il trafficante di stupefacenti tra la Sicilia e gli Usa, Nick Gentile, oppure il collaboratore di giustizia Tommaso Buscetta e a tutto il pensiero popolare. Il traffico internazionale di stupefacenti in quantità importanti risale agli inizi del novecento, nel 1958 venne assassinato il testimone dodicenne Giuseppe Letizia e nel 1959 venne assassinato il bambino Antonio Pecoraro di dieci anni. 

I mafiosi, soprattutto quelli di alto livello, pur imponendo il vincolo dell’omertà agli altri hanno sempre avuto rapporti con le istituzioni sin da quando i campieri e i gabelotti vessavano tutti, a favore proprio e dei latifondisti. I rapporti sono continuati in occasione delle campagne per la repressione del banditismo (nel resto del ex regno delle due Sicilie il brigantaggio durò per circa un decennio dopo l’unità d’Italia) in Sicilia, nel 1949, venne creato il CFRB1, Comando Forze Repressione Banditismo (al comando del Colonnello Luca e che aveva come capo di Stato Maggiore il Capitano Carlo Alberto Dalla Chiesa, futuro Prefetto di Palermo assassinato dalla mafia nel 1982)2. In tutte le vicende della repressione al banditismo la mafia è stata di volta in volta parte attiva e contemporaneamente, con il ruolo di confidente del banditismo. 

La vicenda della trattativa stato-mafia, al di là dei fatti reato, ha evidenziato come i vertici di cosa nostra siano totalmente inclini a trattare con le forze di polizia, con la politica e, infine, con il governo. L’azione politica di cosa nostra appartiene, come ovvio al periodo repubblicano. I collaboratori di giustizia hanno confermato che non vi erano indirizzi specifici indicati dalla commissione regionale, ciascun mandamento era autonomo, vi era una sola regola: non si poteva votare per i fascisti e per i comunisti.

A questa mancanza di direzione vi fu una modifica a metà degli anni ottanta quando la commissione diede l’incarico a tutti i mandamenti di votare per il PSI, (in particolare per l’onorevole Martelli) come messaggio dei corleonesi ai propri referenti politici (Salvo Lima assassinato da cosa nostra nel 1992, Giovanni Gioia, Vito Ciancimino condannato per associazione mafiosa, i fratelli Nino e Ignazio Salvo quest’ultimo assassinato da Leoluca Bagarella nel 1992) in relazione all’andamento del maxi processo di Palermo.

Vi è da aggiungere che il PSI, e l’onorevole Martelli, non avevano alcun coinvolgimento con la mafia tanto che, da Ministro della Giustizia, chiamò Giovanni Falcone a dirigere l’Ufficio degli Affari Penali a Roma e contribuì a far realizzare la struttura DNA-DDA proposta proprio dal giudice assassinato nella strage di Capaci. Ancora riguardo ai politici cosa nostra fu legata nel tempo a referenti democristiani ma assassinò esponenti dello stesso partito, Piersanti Mattarella -fratello dell’attuale Presidente della Repubblica, Giovanni Bonsignore, Giuseppe Insalaco, Michele Reina, ecc. 

Il sostanziale ingresso di cosa nostra nella politica nazionale, non più solo diretta all’elezione di un amico negli enti locali, si consolidò negli anni ottanta-novanta con la creazione delle leghe meridionali indicate dai collaboratori come creazione diretta di cosa nostra.

La mafia partecipò anche ad una serie di vicende che hanno tentato di condizionare la situazione politica nazionale, prima nel 1944-49 con le vicende dell’EVIS3 e del tentativo secessionista siciliano, poi la quasi partecipazione di cosa nostra al Golpe Borghese del 1970, il cui successo avrebbe consentito a cosa nostra di mostrare la propria capacità di controllo dell’intera Sicilia.

Nel 1978 la partecipazione, e poi la richiesta di non partecipare, alla ricerca di informazioni sulla prigione del popolo dove le Brigate Rosse custodivano il segretario della Democrazia Cristiana, infine il periodo stragista corleonese degli anni novanta che seguiva la guerra di mafia costata un migliaio di morti. Oggi cosa nostra uccide poco ma sembra più la classica tattica dell’inabissamento descritta con la classica frase “calati juncu ca passa la china”4 utilizzata in passato in occasione delle periodiche repressioni dello Stato.

Infine un accenno a bibliografia e filmografia su cosa nostra: si tratta di elenchi sterminati con migliaia di titoli, tra i libri mi sento di consigliare i rapporti del questore Sangiorgi che descrivevano la mafia 120 anni fa e il libro “Mafia, l’atto d’accusa dei giudici di Palermo”, con le dichiarazioni di Tommaso Buscetta oppure i libri di Salvatore Lupo; l’elenco non contiene riferimenti recenti perché la situazione cambia e quindi dovremo leggere quanto verrà aggiornato di volta in volta. 

Per quanto riguarda i film vorrei segnalare “Il giorno della civetta”5 ancora una volta ci rifacciamo alla storia e agli anni sessanta ma che spiega il pensiero del padrino mafioso, Mariano, con la citatissima frase: “l’umanità la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi i, con rispetto parlando, piglianculo e i quaquaraquà”. Per qualcosa di più recente suggerisco il film di Pif, “la mafia uccide d’estate” dove il protagonista vive, di riflesso le vicende di cosa nostra a Palermo per una ventina d’anni. 

Mafia, le origini lontane.

La Mafia ha origini lontane, secondo Salvatore Palizzotto un mafioso siciliano emigrato a New York agli inizi del novecento, risale almeno alla rivolta dei “Vespri Siciliani” del 1282. Più sensatamente viene fatta risalire ai “Beati Paoli”6, una setta che compare nei documenti a partire dal XVII secolo e che è diventato un romanzo e poi opera teatrale scritti entrambi nel 1909 da Gioacchino Natoli, il quale ha concluso il ciclo con il successivo romanzo “Coriolano della foresta”. Opere di fantasia oppure storiche? In ogni caso hanno contribuito al mito dei mafiosi: Totuccio Contorno aveva assunto il soprannome di “Coriolano della foresta” proprio in onore al personaggio.

Nel 1862 è stato pubblicato il libro di Giuseppe Rizzotto e Gaspare Mosca: “I mafiusi de la Vicaria” (la Vicaria era un antico carcere palermitano) destinato a essere rappresentato come una serie di quadri nei teatri popolari e successivamente sceneggiato come opera teatrale7

1 – Creato dopo la strage di Bellolampo per sostituire il precedente “Ispettorato Generale di P.S. – Sicilia”
2 – Nel periodo 1945-50 le perdite per le forze di repressione del fenomeno del banditismo furono complessivamente 107
3 – Esercito Volontario per l’indipendenza della Sicilia

4 – Piegati giunco che passa la piena
5 – Film diretto da Damiano Damiani nel 1968, con Franco Nero e Leonardo Sciascia.
6 – Cavallaro, Ayala: “Mafia, Album di Cosa Nostra” , Rizzoli, pag. 27
7 – Leonardo Sciascia, “La storia della mafia”, Storia illustrata

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