Commento diffamatorio su FB; il giornalista Roberto Mancini condannato a risarcire 20.000 euro

Articolo di La Prima linea

Un giornalista a processo per diffamazione deve tener conto di tre cose: l’assoluzione in sede penale non comporta necessariamente la fine dell’iter giudiziario in sede civile; non soltanto la veridicità della notizia pubblicata è importante, lo sono e molto anche i toni in cui è scritta; è sempre necessario, anzi fondamentale, essere presenti nell’aula del processo, dove al cronista accusato di aver mentito è data la possibilità di argomentare e spiegare ragioni e circostanze altrimenti impossibili da conoscere per il giudice, che spesso nei procedimenti per diffamazione a mezzo stampa dispone quasi solamente di quest’ultima, ovvero dell’articolo incriminato senza tutto ciò che invece potrebbe starci intorno. Ma, per l’appunto, di fronte al giudice ci devi essere e devi parlare. 

Tutto questo racconta tra le righe la sentenza con la quale il giudice del tribunale civile di Aosta, Paolo De Paola, ha condannato il 76enne giornalista valdostano a risarcire con 20.000 euro oltre a spese legali per quasi tremila euro Omar Vittone – presidente della Società italiana traforo del Gran San Bernardo-Sitrasb dal 2015 all’ottobre 2017 – per averlo diffamato su Facebook, scrivendo il seguente commento a margine di un’articolo pubblicato su Aostasera in merito alle dimissioni rassegnate da Vittone alla Società del tunnel: “L’uomo di Gladio lascia nel riserbo e nel mistero, come ovvio per un tale personaggio. Prima ed unica dichiarazione, lodi sperticate al nuovo presidente, Laurent Viérin. Convinzione? Bon ton istituzionale? Investimento per il futuro? Amore a prima vista? Forse il suo nome è emerso, a qualche titolo, nelle indagini sul giallo dei 25.000 euro nell’ufficio dell’ex presidente Marquis? Mistero, silenzio. Mah boh, chissà…P.S. telefonate al vice-questore Rocco Schiavone…”.

Definito ‘uomo di Gladio’ mosso da interessi politici personali e persino ‘collegato’ all’inchiesta sul ritrovamento dei 25.000 euro a Palazzo regionale, Vittone si era sentito leso nella sua reputazione e aveva sporto querela penale per diffamazione. Il pm aveva richiesto l’archiviazione del procedimento penale, istanza che era stata accolta dal gip ma il procedimento era continuato in sede civile, dove Vittone aveva portato ulteriori elementi probanti l’accusa:

1 – le motivazioni ambigue indicate da Mancini alla base della scelta delle dimissioni di Vittone non avevano supporto e sono state palesemente smentite dalle trasparenti motivazioni comunicate dal dirigente stesso agli organi di informazione;

2 – Senza alcun fondamento anche le “lodi sperticate” che Vittone avrebbe tessuto al nuovo Presidente della Giunta per un interesse specificatamente personale;

3 – Inesistente il coinvolgimento di Vittone e delle sue dimissioni nell’indagine sul ritrovamento dei 25.000 euro nell’ufficio della Presidenza della Regione, circostanza che rendeva il commento del convenuto gratuito e gravemente insinuante;

4 – le affermazioni del giornalista non erano state in alcun modo argomentate, risultando quindi infondate e perciò gratuite e con chiaro intento diffamatorio, non costituendo espressione del diritto di critica ma mere illazioni tendenziose, divulgative di fatti totalmente falsi tali da ledere gravemente la reputazione del dott. Vittone (il giornalista ha invece il dovere deontologico di controllare le fonti delle proprie informazioni);

5 – che la diffamazione, essendo stata perpetrata da un giornalista di spicco nell’ambito valdostano (tramite l’utilizzo della sua pagina Facebook), aveva aumentato la visibilità del commento e la lesività della condotta.

Tutti elementi riconosciuti anche dal giudice, che dopo aver analizzato l’intero fascicolo istruttorio ha scritto in sentenza che “effettivamente il contenuto e la finalità del commento pubblicato dal convenuto (Roberto Mancini ndr) sulla sua pagina Facebook risultano avere un carattere diffamatorio, lesivo dell’onore e della reputazione di Omar Vittone”.

Il giudice De Paola, inoltre, ha stigmatizzato in sentenza la mancata costituzione in giudizio di Mancini “il quale, rimanendo contumace, non ha nemmeno addotto elementi per una diversa valutazione”.

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